Tristezza della Luna
Questa sera la luna sogna più languidamente; come una
bella donna che su tanti cuscini con mano distratta e leggera
prima d'addormirsi carezza il contorno dei seni,
e sul dorso lucido di molli valanghe morente, si abbandona
a lunghi smarrimenti, girando gli occhi sulle visioni
bianche che salgono nell'azzurro come fiori in boccio.
Quando, nel suo languore ozioso, ella lascia cadere su questa
terra una lagrima furtiva, un pio poeta, odiatore del sonno,
accoglie nel cavo della mano questa pallida lagrima
dai riflessi iridati come un frammento d'opale, e la nasconde
nel suo cuore agli sguardi del sole.
Alla mia diletta, alla più bella
che mi colma il cuore di luce,
all'idolo immortale, al mio angelo
salute in eterno!
Come aria impregnata di sale
ella passa sulla mia vita...
e mi versa il gusto dell'eterno
nell'anima insaziata.
Spigo sempre fresco
che profuma l'atmosfera di un caro rifugio,
obliato incensiere che fuma di notte in segreto...
come, amore incorruttibile, esprimerti con verità?
Granello di muschio invisibile e sepolto nella mia eternità!
Alla più bella, alla più cara
che mi dà gioia e vigore,
all'idolo immortale, al mio angelo,
salute in eterno!
L'Albatro
Spesso, per divertirsi, gli uomini d'equipaggio
Catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
Che seguono, indolenti compagni di vïaggio,
Il vascello che va sopra gli abissi amari.
E li hanno appena posti sul ponte della nave
Che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro
Pietosamente calano le grandi ali bianche,
Come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.
Com'è goffo e maldestro, l'alato viaggiatore!
Lui, prima così bello, com'è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
L'altro, arrancando, mima l'infermo che volava!
Il Poeta assomiglia al
principe dei nembi
Che abita la tempesta e ride dell'arciere;
Ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
Per le ali di gigante non riesce a camminare.
Voglia del nulla
Triste mio spirito, un tempo innamorato della lotta, la
Speranza il cui sperone attizzava i tuoi ardori, non vuole
più cavalcarti! Giaciti dunque senza pudore, vecchio cavallo
il cui zoccolo incespica a ogni ostacolo.
Rassegnati, cuor mio: dormi il tuo sonno di bruto!
Spirito vinto e stremato! Per te, vecchio predone, l'amore
ha perduto il suo gusto, e l'ha perduto la disputa; addio,
canti di ottoni e sospiri di flauto! Piaceri, desistete dal
tentare un cuore cupo e corrucciato!
L'adorabile Primavera ha perduto il suo profumo.
Il Tempo m'inghiotte minuto per minuto come fa la neve
immensa d'un corpo irrigidito io contemplo dall'alto
il globo in tutta la sua circonferenza e non vi cerco più
l'asilo d'una capanna.
Valanga, vuoi tu portarmi via nella tua caduta?
Il Vino degli Amanti
Oggi lo spazio è splendido! Senza morsi né speroni o briglie,
via, sul vino, a cavallo verso un cielo divino e incantato!
Come due angeli che tortura un rovello implacabile oh,
nel cristallo azzurro del mattino, seguire il lontano meriggio!
Mollemente cullati sull'ala del turbine cerebrale, in un
delirio parallelo,
sorella, nuotando affiancati, fuggire senza riposi né tregue
verso il paradiso dei miei sogni.
Profumo esotico
Se in una
calda sera d'autunno, gli occhi chiusi,
respiro del
tuo seno accaldato l'odore,
vedo
scorrermi innanzi lunghe rive radiose
sbiancate
dai bagliori d'un monotono sole:
un'isola
pigra dove dà la natura
alberi
strani e frutta saporose,
uomini
dalle membra sottili e vigorose
e donne che
hanno sguardi d'un mirabile ardire.
Guidato dal
tuo odore verso climi d'incanto
vedo un
porto con alberi e con vele
per la
forza dei flutti ancor tremanti
e intanto
un profumo di verdi tamerici
gira
nell'aria e colma il mio respiro
e al canto
degli equipaggi si mischia nel mio cuore.
La Musica
Spesso la
musica mi porta via come fa il mare. Sotto una
volta di bruma o in un vasto etere metto vela verso
la mia pallida stella.
Petto in avanti e polmoni gonfi come vela scalo la cresta
dei flutti accavallati che la notte mi nasconde;
sento vibrare in me tutte le passioni d'un vascello che dolora,
il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi
sull'immenso abisso mi cullano. Altre volte, piatta bonaccia,
grande specchio della mia disperazione!
Armonia della sera
Ecco venire il tempo
che vibrando sullo stelo ogni fiore
svapora come un incensiere
i
suoni e i profumi volteggiano nell'aria della sera
valzer malinconico e languida vertigine.
Ogni fiore svapora come un incensiere
il violino freme come un cuore straziato
valzer
malinconico, languida vertigine!
Il cielo è triste e bello come un grande altare.
Il violino freme come un cuore straziato,
un
cuore tenero che odia il nulla vasto e nero!
Il cielo è triste e bello come un grande altare
il
sole annega nel suo sangue che si raggruma.
Un cuore tenero che odia il nulla vasto e nero
raccoglie
ogni vestigio del luminoso passato!
Il
sole s'è annegato nel suo sangue che si raggruma,
il
tuo ricordo in me riluce come un ostensorio.
Tramonto romantico
Com'è bello il sole quando tutto fresco si leva
e ci
lancia il suo buongiorno come un'esplosione!
Fortunato colui che può con amore salutare il suo
tramonto, più glorioso d'un sogno!
Ricordo... Ho visto tutto, fiore, fonte, solco,
crogiolarsi sotto il suo occhio palpitante...
È tardi, corriamo verso l'orizzonte per cogliere almeno
un suo raggio obliquo.
Ma io inseguo invano il Dio che si ritira;
l'irresistibile,
la nera, funesta, abbrividente Notte, fonda il suo
imperio;
nelle tenebre fluttua un odore di tomba
e il mio piede intimorito calpesta, sull'orlo del
padule,
rospi improvvisi e fredde lumache.
La
bella nave
Voglio raccontarti, o molle incantatrice, le bellezze
diverse che ornano la tua gioventù;
voglio
dipingere per te la tua bellezza, in cui l'infanzia
s'allea alla maturità.
Quando vai spazzando l'aria con la tua larga gonna,
sembri una bella nave che prende il largo,
carica
di tele, e il suo rullìo segue un ritmo pigro, dolce e
lento.
Sul tuo collo ampio e tondo
e
sulle tue spalle piene il tuo capo si pavoneggia con
strane grazie,
e tu avanzi per la tua strada con aria placida e
trionfante, maestosa fanciulla.
Il
tuo seno che avanza e che spinge la seta,
il tuo seno trionfante è un bell'armadio i cui pannelli
curvi e luminosi
come scudi mandano lampi,
scudi provocanti, armati di punte rosa!
Armadio
dai dolci segreti, pieno di cose buone, di vini, di
profumi, di liquori,
delirio di cervelli e di cuori!
Le tue nobili gambe, sotto i volani che sempre
respingono,
tormentano i desideri oscuri e li provocano,
simili
a due streghe che fanno girare un filtro nero in un vaso
profondo.
Le tue braccia, che si prenderebbero gioco di ercoli
precoci
sono, solidi emuli dei lucidi boa, fatte per serrare
ostinatamente
come
a volerlo imprimere nel tuo cuore - il tuo amante.
Al
lettore
La stoltezza, l'errore, l'avarizia, la colpa
ci occupano l'anima e il corpo ci fan guasto,
e noi ci offriamo ai nostri cari rimorsi in pasto,
come il povero sfama le zecche che lo spolpano.
Siamo incalliti reprobi e penitenti pavidi;
d'ogni nostro confiteor facciam lucro e commercio,
poi torniamo nel fango lietamente a giacerci,
speranzosi che vili lacrime ce ne lavino.
Satana Trimegisto lungamente ci culla
sul cuscino del male lo spirito stregato,
e dei nostri propositi ogni ricco carato
fa con esperte alchìmie svaporare nel nulla.
E' lui che regge i fili dei fantocci che siamo:
ci lasciamo sedurre dall'oggetto più basso,
e ogni giorno all'inferno senza orrore, d'un passo,
attraverso mefitiche tenebre discendiamo.
Come un vizioso povero succhia e copre di baci
il seno martoriato d'una vecchia sgualdrina,
noi rubiamo una gioia rapida e clandestina,
e tutta la spremiamo, come un'arancia fracida.
Compressa, innumerevole, come vermi in fermento,
ci fa baldoria in capo un'orda di Demoni,
e, quando respiriamo, la Morte nei polmoni
di nascosto dilaga con confuso lamento.
Se lo stupro e l'incendio, il pugnale e il veleno,
di vezzosi ricami non hanno ancor guarnito
dei nostri giorni il grigio miserevole ordito,
è che ogni volta, ahimè, l'animo ci vien meno!
Ma frammezzo la lonza, la pantera, la vipera,
lo sciacallo, la scimmia, l'avvoltoio, la biscia,
fra i mostri che grugniscono, latrano, urlano,
strisciano
nell'infame serraglio che i nostri vizi stipa,
uno ve n'è, più laido, più maligno, più immondo,
che senza grandi gesti, senza grida di guerra,
farebbe di buon grado diroccare la terra,
e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo:
il Tedio! Pregni gli occhi d'un suo pigro rovello,
egli sogna patiboli, fumando il narghilè:
tu questo molle mostro conosci al par di me.
o ipocrita lettore, mio simile, fratello!
Ben lontano da qui
Qui è la sacra capanna,
qui la fanciulla riccamente ornata, tranquilla, sempre
pronta
con una mano si
sventaglia il seno, e, il gomito appoggiato ai cuscini,
ascolta il pianto delle fontane:
è la stanza di Dorotea.
La brezza e l'acqua
cantano di lontano,
per cullare questa
bambina viziata, la loro canzone singhiozzante.
Dall'alto al basso, con
cura, la sua pelle delicata è strofinata con benzoino e
olii profumati.
In un angolo si
consumano fiori.
Elevazione
Volando sopra stagni sopra monti e vallate,
sopra foreste e nubi e mari senza fine,
oltre il sole oltre l’etere, e l’estremo confine
ancora sorpassando delle sfere stellate,
tu vai, spirito mio, vai con agilità
e come un nuotatore che s’inebria dell’onda
lietamente attraversi l’immensità profonda
preso da un’indicibile e forte voluttà.
Vola, vola ben oltre i fetori malsani,
purìficati in alto, nell’aria fatta tersa,
bevi, come liquore che il cielo puro versa,
il chiaro fuoco che gli spazi empie lontani.
Scrollandosi la noia e le altre grandi pene
che opprimono la vita e la fanno nebbiosa,
felice chiunque può con ala vigorosa
slanciarsi verso terre luminose e serene,
chi sente i suoi pensieri come allodole in viaggio
nel cielo del mattino in libertà volare,
chi plana sulla vita e così può ascoltare
delle tacite cose e dei fiori il linguaggio.
Fine del giorno
Sotto una tetra luce, corre, danza, si torce senza
ragione, la Vita, impudente e stridula.
Così, appena all'orizzonte sale la notte voluttuosa,
placando tutto, anche la fame,
scancellando
tutto, anche la vergogna, il poeta si dice:
«Finalmente!»
Come le mie vertebre il mio spirito invoca ardentemente
il riposo
con
il cuore pieno di funebri sogni
mi butterò con la schiena sul letto
e mi avvolgerò nei vostri tendaggi, o tenebre di
frescura!
Il Lete
Vieni sul mio cuore, anima sorda e crudele, tigra
adorata, mostro dalle pose indolenti
voglio
immergere a lungo le mie dita tremanti nella massa
pesante della tua criniera;
e seppellire la mia testa indolorita nelle gonne che il
tuo profumo impregna,
respirare,
come un fiore passo, il dolce tanfo del mio amore
defunto.
Voglio dormire, dormire, non vivere!
In un sonno dolce come la morte, sul tuo corpo levigato
alla pari del rame,
deporrò i miei baci, senza rimorso.
Nulla, per inghiottire i miei singhiozzi languenti, vale
l'abisso del tuo letto
l'oblìo tiene possente la tua bocca e il Lete scorre nei
tuoi baci.
Al mio destino, divenuto ormai una delizia, obbedirò
come un prescelto
martire
docile, condannato innocente, che con fervore attizza il
suo supplizio,
succhierò, per soffocare il mio rancore, il nepente e la
cicuta benefica,
alle
punte incantevoli del tuo seno eretto
che
mai ha imprigionato un cuore.
Il ribelle
Dal cielo precipita come un'aquila un Angelo,
e afferra a pugno pieno i capelli del miscredente e gli
dice, scuotendolo:
«Tu devi conoscere la regola (io sono il tuo buon
angelo, capisci?). Lo esigo.
Sappi che si deve amare, senza tante smorfie, il povero,
il cattivo, lo storpio, l'ebete:
così tu potrai fare a Gesù, quand'egli passa, un tappeto
trionfale con la tua carità.
Così è l'Amore.
Avanti
che il tuo cuore divenga indifferente, riaccendi la tua
estasi alla gloria di Dio:
è questa la vera, duratura Voluttà.
E l'Angelo, castigando nella misura che ama,
tortura con
le sue mani di gigante il maledetto.
Ma il dannato risponde sempre: «No, non voglio!»
La
bellezza
Vieni tu dal cielo profondo o sorgi dall'abisso, Beltà?
Il tuo sguardo, infernale e divino,
versa, mischiandoli, beneficio e delitto:
per questo ti si può comparare al vino.
Riunisci nel tuo occhio il tramonto e l'aurora,
diffondi profumi come una sera di tempesta;
i tuoi baci sono un filtro, la tua bocca un'anfora,
che rendono audace il fanciullo, l'eroe vile.
Sorgi dal nero abisso o discendi dagli astri?
Il Destino incantato segue le tue gonne come un cane:
tu semini a casaccio la gioia e i disastri,
hai imperio su tutto, non rispondi di nulla.
Cammini sopra i morti, Beltà, e ridi di essi,
fra i tuoi gioielli l'Orrore non è il meno affascinante
e il Delitto, che sta fra i tuoi gingilli più cari,
sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.
La farfalla abbagliata vola verso di te, o candela,
e crepita, fiammeggia e dice: "Benediciamo questa
fiaccola!".
L'innamorato palpitante chinato sulla bella
sembra un morente che accarezzi la propria tomba.
Venga tu dal cielo o dall'Inferno, che importa,
o Beltà, mostro enorme, pauroso, ingenuo;
se il tuo occhio, e sorriso, se il tuo piede, aprono per
me
la porta d'un Infinito adorato che non ho conosciuto?
Da Satana o da Dio, che importa?
Angelo o Sirena, che importa se tu
– fata dagli occhi vellutati, profumo, luce, mia unica
regina –
fai l'universo meno orribile e questi istanti meno
gravi?
La luna offesa
O Luna, che i nostri padri adoravano con discrezione,
dall'alto dei paesi azzurri ove, radioso serraglio, gli
astri in lieto
corteo ti seguono, mia vecchia Cinzia, lampada delle
nostre tane,
vedi gli amanti, sui loro felici giacigli, dormendo,
mostrare il fresco smalto della bocca
il
poeta puntare con la fronte sulla sua opera
sotto le erbe aride accoppiarsi le vipere?
E, sotto il tuo giallo domino, vai, come un tempo, con
piede furtivo, da sera a mattino,
a baciare la bellezza matura d'Endimione?
«O figlio misero d'un tempo impoverito,
vedo
tua madre che piega la greve massa dei suoi anni verso
lo specchio,
imbellettando artificiosamente il seno che t'ha
nutrito.»
La morte degli amanti
Avremo letti pieni di profumi leggeri, divani profondi
come tombe
e sulle mensole strani fiori dischiusi per noi sotto
cieli più belli.
Usando, a gara, i loro estremi ardori, i nostri cuori
saranno due grandi fiaccole,
che
rifletteranno le loro doppie luci nei nostri spiriti,
specchi gemelli.
Una sera di rosa e azzurro mistico ci scambieremo un
unico bagliore,
simile a un lungo singhiozzo, risonante d'addii.
Più tardi, un Angelo, dischiuse le porte, verrà, gaio e
fedele,
a
ravvivare gli specchi offuscati e le fiamme ormai morte.
L'alba spirituale
Quando per i libertini l'alba bianca e vermiglia si
associa all'Ideale tormentoso,
un
mistero vendicatore risveglia l'angelo assopito nel
bruto.
Per l'uomo tormentato che sogna ancora e che soffre,
dai Cieli spirituali l'irraggiungibile azzurro s'apre e
sprofonda con l'attrattiva dell'abisso.
Così,
amata Dea, Essere luminoso e puro,
il ricordo di te, più chiaro, roseo, incantevole, ai
miei occhi ingranditi
volteggia
senza posa sui relitti fumosi di stupide orge.
Il sole ha oscurato la fiamma delle candele:
e, sempre vittorioso, il suo fantasma assomiglia, anima
splendente,
al sole immortale.
Lesbo
Madre di giochi latini e di voluttà greche, Lesbo,
ove, languenti o gai, caldi come soli, freschi come
cocomeri, i baci,
sono l'ornamento di notti e di giorni gloriosi;
Lesbo,
madre di giochi latini e di voluttà greche,
in cui i baci somigliano le cascate che si gettano
impetuosamente negli abissi infiniti,
e corrono, singhiozzando e ridendo a strappi, tempestosi
e segreti, frenetici e profondi.
Lesbo,
in cui i baci somigliano le cascate,
e le Frini s'attirano l'un l'altra, e mai un sospiro
restò senz'eco:
come Pafo le stelle t'ammirano, e Venere ha ben diritto
d'esser gelosa di Saffo! Lesbo, ove le Frini s'attirano
l'un l'altra,
terra di notti calde e languide che, sterile voluttà,
portano dinanzi ai loro specchi fanciulle dagli occhi
segnati,
innamorate dei propri corpi, a carezzarsi i frutti della
verginità.
Lesbo, terra di notti calde e languide.
Lascia che il vecchio Platone aggrotti l'occhio austero,
tu
ottieni il perdono per eccesso dei tuoi baci, regina
d'un dolce impero,
terra
nobile e amabile, d'inesauribili raffinatezze.
Lascia
che il vecchio Platone aggrotti l'occhio austero.
Tu trai il perdono dal tuo eterno martirio,
inferto senza requie ai cuori ambiziosi
e
che attira lungi da noi il radioso sorriso intravisto
appena ai confini d'altri cieli!
Tu trai il perdono dal tuo eterno martirio!
Chi, fra gli Dei, Lesbo, oserà giudicarti e condannare
la tua fronte impallidita nelle fatiche,
se
le sue bilance d'oro non avranno pesato il diluvio di
lagrime
versato nel mare dai tuoi ruscelli?
Chi fra gli Dei, Lesbo, oserà giudicarti?
Che hanno a che fare con noi le leggi del giusto e
dell'ingiusto?
O vergini di sublime cuore, onore dell'arcipelago, la
vostra religione è augusta come un'altra, e l'amore
potrà ridere del Cielo e dell'Inferno!
Che
hanno a che fare con noi le leggi del giusto e
dell'ingiusto!
Poiché Lesbo m'ha scelto fra tutti sulla terra
per
cantare il segreto delle sue vergini in fiore;
io fui sin dall'infanzia
ammesso al nero mistero delle risa sfrenate miste ai
cupi pianti,
poiché
Lesbo m'ha scelto fra tutti sulla terra.
L'uomo
e il mare
Uomo libero, tu amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio, contempli la tua anima
nello svolgersi infinito della sua onda,
E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.
Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine;
L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo
cuore
Si distrae a volte dal suo battito
Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
Siete entrambi tenebrosi e discreti:
Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi,
O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze
Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
Vi combattete senza pietà né rimorsi,
Talmente amate la carneficina e la morte,
O eterni rivali, o fratelli implacabili!
Serpente che danza
Quanto mi piace, cara indolente, veder scintillare la
pelle del tuo splendido corpo come se fosse una
stoffa ondeggiante.
Sulla tua chioma profonda, dagli acri profumi, mare
odoroso e vagabondo, di flutti azzurri e bruni,
come un vascello che si sveglia al vento del mattino,
la mia anima sognante s'appresta a un cielo lontano.
I tuoi occhi, che nulla rivelano di dolce o d'amaro,
sono due gioielli in cui l'oro si unisce al ferro.
A vederti procedere ritmicamente, bella
d'abbandono, ti si direbbe un serpente che danza in cima
a un bastone.
Sotto il fardello della pigrizia il tuo capo di
fanciulla si
dondola con la mollezza d'un giovane elefante.
E il tuo corpo si piega e s'allunga come una bella
nave che bordeggia e tuffa nell'acqua le sue antenne.
Quale flutto ingrossato dallo sciogliersi di ghiacciai
grondanti, quando l'acqua della tua bocca risale ai tuoi
denti,
mi pare di bere un vino di Boemia amaro e vittorioso,
un cielo liquido che semina di stelle il mio cuore!
La capelliera
Chioma, che
al collo scorri d'onda in onda!
riccioli,
profumi pesanti di languore,
estasi!
Perché stasera gremiscano la buia alcova
i ricordi
che dormono nella tua capelliera,
io voglio
sventolarla come un fazzoletto!
L'Africa
ardente, l'Asia sospirosa,
tutto un
mondo lontano, assente, quasi morto
vive,
foresta d'aromi, nei tuoi luoghi profondi;
e, come
altri spiriti sulla musica, il mio
galleggia,
amore, sopra il tuo profumo!
Là dove,
colmi di linfa, alberi e uomini
si
struggono nella calura in deliqui sena fine
lanciatemi,
forti trecce, come sa fare l'onda!
In te, mare
d'ebano, vive un fulgido sogno
di remi e
vele, d'alberi e di fiamme:
porto
risonante dove l'anima può
dissetarsi
d'odore, di suono e di colore,
e su
scivoli d'oro e seta i bastimenti
le ampie
braccia spalancano alla gloria
d'un cielo
puro che freme d'immortale calore.
La mia
testa, che l'ebbrezza innamora, immergerò
nell'oceano
che nero l'altro chiude;
e il mio
spirito sottile, molcito dal rollio,
saprà ben
ritrovarvi, o pigrizia feconda,
di svaghi
imbalsamati dondolarsi infinito!
In voi,
capelli azzurri, baldacchino di tenebre,
c'è
l'immensa, celeste rotondità del cielo;
sui piumosi
contorni delle ciocche ritorte
ardendo io
m'inebrio d'un confuso sentore
d'olio di
cocco, di muschio e di catrame.
A lungo —
sempre! — nella greve criniera la mia mano
rubini
spargerà e zaffiri e perle
perché al
mio desiderio tu non sia mai sorda,
oasi dove
sogno, borraccia dove fiuto
a lungi
sorsi il vino del ricordo...
-------------------
Io t'adoro
come la volta notturna,
o vaso di
tristezza, grande taciturna,
e t'amo
tanto piú, bella, se fuggi,
quasi
sommando, o mia notturna gioia,
con ironia
le leghe che separano
dal mio
petto le azzurre immensità.
Vengo
all'attacco, insisto su di te
come un
grumo di vermi su un cadavere e t'amo,
o animale
implacabile e crudele,
anche nel
gelo che ti fa piú bella!
-------------------
Ti
porteresti a letto il mondo intero,
o impura, o
crudele per noia! A questo gioco strano
devi, per
tenerli in esercizio, ogni giorno
metterti
almeno un cuore sotto i denti.
Chiari come
vetrine, fiammeggianti
come le
luminarie d'una festa, i tuoi occhi
usano,
insolenti, d'un potere non loro,
ignari
della legge onde son belli.
Macchina
cieca, sorda, feconda in crudeltà!
Strumento
salutare, sanguisuga del mondo,
non hai
vergogna, dunque, non hai visto
spegnersi
in ogni specchio le tue grazie?
E la forza
del male in cui ti credi esperta
non ti fa
indietreggiare di spavento
quando,
grande nelle ascose sue trame, la natura
si serve di
te, femmina, regina dei peccati,
di te, vile
animale! perché un genio abbia vita?
Sublime
infamia, altezza verminosa...
MADRIGALE TRISTE
I
Che m'importa che tu sia savia. Sii bella e triste!
Le lagrime danno nuovo incanto al tuo viso, come un
fiume al
paesaggio: il temporale dà vita ai fiori.
T'amo soprattutto quando la gioia fugge dalla tua fronte
abbattuta:
quando
il tuo cuore naufraga nell'orrore; quando sul
tuo presente si dispiega la paurosa nube del passato;
quando dal tuo grande occhio scorre un'acqua calda come
il sangue;
e malgrado la mia mano che ti culla, la tua
angoscia, con tutto il suo peso, strazia come rantolo
d'agonizzante.
Aspiro, voluttà divina, inno profondo e delizioso, tutti
i singhiozzi del tuo petto:
e
mi pare che il tuo cuore s'illumini
delle perle che versano i tuoi occhi!
II
So che il tuo cuore, traboccante d'antichi amori
sradicati,
fiammeggia ancora come una fucina, e che tu covi in seno
qualcosa della superbia dei dannati,
ma sintanto, mia cara, che i tuoi sogni non saranno il
riflesso dell'inferno,
e
che in un incubo incessante, sognando di
veleni e di spade, innamorata di polvere e di ferro,
non aprendo che con timore a tutti, vedendo ovunque
sventura,
spasimando
al sonare dell'ora, non avrai sentito la stretta del
Disgusto irresistibile,
non potrai, schiava regina che m'ami, con paura, dirmi,
nella torbida notte, l'anima piena di gridi:
«Eccomi, mio Signore, sono pari a te.»
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